Disturbi dell’alimentazione nelle ultime due decadi hanno suscitato un grande interesse nei media e nella gente comune, ma tuttora costituiscono un enigma per i ricercatori e una difficile sfida per i clinici. Le loro cause non sono note, anche se un’interazione complessa di fattori biologici, psicologici e sociali sembra giocare un ruolo importante nell’aumentare il rischio del loro sviluppo. Negli ultimi anni, comunque, sono stati compiuti progressi significativi sia nella loro comprensione.
Secondo il DSM-5 i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione sono caratterizzati “da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”, quali l’ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili; il ripetuto rigurgito di cibo, non attribuibile a condizioni gastrointestinali associate; l’evitamento di particolari cibi; le restrizioni alimentari con il conseguente significativo peso corporeo basso e la paura di diventare grassi; le abbuffate; i comportamenti compensatori inappropriati (vomito autoindotto, abuso lassativi e/o diuretici, digiuno, attività fisica eccessiva).
Dunque, nel nuovo DSM-V abbiamo un nuovo assetto dei vecchi Disturbi del Comportamento Alimentare, racchiusi tutti in un’unica grande “famiglia” denominata Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, così composta:
Le informazioni fornite dai media e da alcuni pseudo esperti sulle cause dei disturbi dell’alimentazione sono spesso non corrette e prive di una solida base scientifica. I dati derivati dalla ricerca più recente sembrano indicare che derivino dalla combinazione di predisposizione geneticae fattori di rischio ambientali. Purtroppo, non si sa ancora nulla sui processi causali individuali coinvolti e su come i fattori genetici interagiscano con quelli ambientali.
La letteratura psicologica ha proposto numerose e specifiche teorie che hanno cercato di spiegare lo sviluppo e il mantenimento dei disturbi dell’alimentazione. Tra queste, quella che ha influenzato in modo più importante il trattamento basato sull’evidenza scientifica èstata la teoria cognitivo comportamentale.
Cognitivo comportamentale significa che la teoria analizza principalmente i pensieri (cognitivo) e i comportamenti (comportamentale) implicati nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.
La teoria sostiene che l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione sia il problema psicologico centrale dei disturbi dell’alimentazione. Mentre le persone si valutano generalmente in base alla percezione delle loro prestazioni in una varietà di domini della loro vita (per es. relazioni interpersonali, scuola, lavoro, sport, abilità intellettuali e genitoriali, ecc.), quelle affette da disturbi dell’alimentazione si valutano in modo esclusivo o predominante in base al controllo che riescono a esercitare sul peso o sulla forma del corpo o sull’alimentazione (spesso su tutte e tre le caratteristiche).
Tale sistema di valutazione è disfunzionale per tre motivi:
L’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione èdi primaria importanza nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione: la maggior parte delle altre caratteristiche cliniche deriva, infatti, direttamente o indirettamente da essa. Per esempio, i comportamenti estremi di controllo del peso (dieta ferrea, esercizio fisico eccessivo e compulsivo, vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o di diuretici) e il raggiungimento e il mantenimento del sottopeso e della sindrome da malnutrizione, si possono verificare solo se una persona crede che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo siano di estrema importanza per giudicare il pro- prio valore.
L’unico comportamento non strettamente legato allo schema di autovalutazione disfunzionale è l’abbuffata. Presente in un sottogruppo di persone affette da disturbi dell’alimentazione, sembra essere la conseguenza del tentativo di restringere in modo ferreo l’alimentazione o, in taluni casi, di modulare eventi ed emozioni associate.
Le varie manifestazioni cliniche dei disturbi dell’alimentazione, a loro volta, mantengono in uno stato di continua attivazione lo schema di autovalutazione disfunzione e assieme ad esso formano i cosiddetti meccanismi di mantenimento specifici (perché sono presenti solo in questi disturbi).
Attualmente le terapie con maggiore percentuale di successo nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità sono la CBT (Terapia Cognitivo-Comportamentale) ed il trattamento con EMDR (desensibilizzazione attraverso i movimenti oculari).
Il successo di una terapia risiede nell’integrazione di queste due tecniche, l’EMDR è utilizzato all’interno di un “intervento cognitivo integrativo”, cioè nel corso di una psicoterapia individuale così come, a lato, di un percorso di psicoterapia di gruppo.
Lo scopo è molteplice:
Articolo a cura della
Dott.ssa Francesca Birello
Psicologa e Psicoterapeuta a Firenze
Psicologa e Psicoterapeuta a Firenze
P.I. 05704670487
Iscritta all’Albo Professionale degli Psicologi della regione Toscana n. 4177
Laureata in Psicologia
Ordine degli Psicologi Toscana | Sitcc | Associazione IL LUMICINO - Firenze | EMDR - Associazione per l'EMDR in Italia | Salute a Colori